IL RITO DELLE ESEQUIE

In occasione della Commemorazione dei nostri cari defunti riporto un brano tratto dalla lettere che nel 1995 il Card. Card. Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, scrisse intitolandola “Dire Addio”.

Per quanto sia forte il calo della pratica religiosa, la liturgia funebre rimane sempre su percentuali elevate.
Bisogna dire che il funerale cristiano è un rituale profondamente consolante. La morte viene presa sul serio. Il defunto è presentato in mezzo a tutti i suoi amici. Egli entra ancora una volta nella casa di Dio e della comunità, anche se ha vagato a lungo, anche se, dopo il battesimo, non vi ha messo piede tanto spesso. È di nuovo presso di lui.
Si leggono brani, dall'Antico e dal Nuovo Testamento, che parlano di morte e di vita, della croce e della risurrezione di Gesù.
Ma non ci si accontenta di parlare, c'è qualcosa che accade sotto i nostri occhi: Cristo viene e continua il suo cammino pasquale dal Venerdì santo alla mattina di Pasqua. Cos'altro è l'eucaristia, se non questo? Poi ci comunichiamo per il defunto: perché Dio gli perdoni quello che ha fatto di male e porti a compimento ciò che è rimasto imperfetto.
Allora deponiamo dolcemente il nostro defunto nella terra. Questo gesto solenne e simbolico è l'ultimo servizio che, al massimo grado possibile, possiamo rendergli: affidarlo alla nostra madre terra da cui è stato tratto.
In un villaggio nei pressi della Schelda, al momento del commiato, il celebrante accende due ceri presso la statua della santa Vergine. Li lasciano bruciare finché non si consumano e si spengono da soli. Chi entra in chiesa nel corso della giornata, li vede: il defunto se ne va lentamente, Maria lo porta nelle sue mani.

 

 

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