Verrò all'altare di Dio

 

Carissimi,

in questa seconda tappa del viaggio dentro la celebrazione eucaristica vorrei partire da una frase, un versetto del salmo 43, che il sacerdote, prima della riforma liturgica, pronunciava (ovviamente in latino) ai piedi dell’altare. Ora non la si dice più, ma mi viene in mente ogni volta che sono in processione coi chierichetti per raggiungere l’altare dalla sacrestia.

Questo avvicinarsi all’altare è simbolicamente una salita: pochi gradini collocano l’altare più in alto rispetto all’assemblea. Non richiedono una grande sforzo fisico ma mi ricordano che sto salendo, sto andando in alto, sto raggiungendo una vetta da cui potrò contemplare Dio.

Durante la giornata è difficile trovare un po’ di tranquillità per pregare. Anche nella vita di un prete non è facile isolarsi per stare in silenzio. Ma quando celebro la messa so che per tutta la durata della celebrazione niente mi potrà disturbare. Salire sull’altare per me è un po’ come raggiungere la cima di una montagna dove posso trovare silenzio e tranquillità, dove posso guardarmi attorno e contemplare la bellezza di Dio...e il mio cuore si riempie della sua Presenza.

C’è un secondo pensiero che faccio mentre salgo sull’altare: come in montagna si sale con uno zaino così sull’altare salgo con il cuore carico di richieste di preghiere, di persone per cui pregare, di situazioni da affidare. Penso a tutto questo mentre sta per iniziare la messa.

Per tutti noi la messa possa sempre essere questo venire all’altare del Signore, questo allontanarci dal frastuono della vita quotidiana e ritrovare la gioia che nasce dallo stare con il Signore. «Verrò all'altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza» (Sal 43)

Don Marco

 

 

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