COME IN ESILIO

 

Carissimi,

vi confesso che nei giorni scorsi una domanda molto impegnativa ha abitato il mio cuore; immaginando che avremmo dovuto vivere la Settimana Santa senza la possibilità di celebrare come comunità il Triduo pasquale mi sono chiesto: «Che senso ha celebrare la messa in Coena Domini in forma privata? Quale esplosione di gioia ci può essere in una veglia pasquale a porte chiuse? Il canto del Preconio, l’annuncio della risurrezione...come possono essere forti e incisivi senza la partecipazione dei fedeli?».

Sono domande che hanno portato un po’ di amarezza nel mio cuore e hanno occupato anche del tempo per pensare, ragionare, ascoltare che cosa mi suggeriva il Signore.

La risposta è arrivata grazie a due aiuti: il primo aiuto è arrivato da un ricordo lontano del tempo. Occorre andare ai miei primi anni di messa: forse il 1999 o 2000. Ai preti giovani era stato proposto un pellegrinaggio a Subiaco (Roma). Dopo un lungo ed estenuante viaggio pieno di intoppi siamo arrivati a Subiaco stanchissimi. Era tardi e siamo andati subito a cena. Non avevamo ancora celebrato la Messa e molti di noi pensavano che ormai fosse tardi per poter celebrare. A sorpresa uno dei sacerdoti che guidavano il pellegrinaggio ci diede appuntamento per la messa verso le 22.00. In molti ci chiedemmo che senso avesse celebrare a quell’ora, così stanchi. In quel momento un sacerdote di una certa età che si era unito al pellegrinaggio disse che durante la messa non è importante quello che facciamo noi o se siamo più o meno o riposati. Durante la messa accade la cosa più straordinaria: Cristo si fa Pane di Vita. E questo non dipende dalla freschezza del sacerdote ma dalla potenza di Dio. Il sacerdote, anche se non è in piena forma, anche se certo le condizioni ideali per celebrare sarebbero altre, durante la messa si fa strumento di un grande miracolo; un miracolo che illumina e rafforza lo stesso sacerdote. Ricordo che mi convinse e ancora oggi ho in mente quella messa come una delle più belle che io abbia mai concelebrato.

Il secondo aiuto mi è arrivato da un confratello che mi ha invitato a pensare al popolo di Israele in esilio, lontano da Gerusalemme, lontano dal tempio. Non era la condizione ideale tanto che in un salmo il salmista si chiede: «Come cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Sal 137,4). Eppure, anche in quelle condizioni difficili, con uno struggente ricordo di Gerusalemme, il popolo di Israele ha celebrato il Signore, la sua salvezza, la sua potenza.

Allora sì: celebrerò il Triduo e lo farò nel modo migliore, lo farò pensando a voi, lo faro ricordando la morte e la risurrezione di Cristo, che sono la sorgente del nostro sperare. Vi terrò tutti nel mio cuore, canterò il mio Alleluia gioioso per voi e con voi; spezzerò il Pane dell’Eucaristia per tutti i fedeli che non potranno nutrirsene. E, probabilmente, sarà il triduo pasquale più intenso che abbia mai vissuto; perché lo celebrerò con voi a distanza, ma soprattutto per voi che seguirete il triduo attraverso la TV. Anche a voi sembrerà un po’ strano, ma ci lasceremo radunare dallo Spirito; e nel nome di Gesù prepareremo la Pasqua, una Pasqua davvero speciale, che trasformerà i giorni tristi in un canto di gioia.

Buona Settimana Santa!

Don Marco

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